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16 dicembre 2012 7 16 /12 /dicembre /2012 16:24

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Ieri è stata una giornata che avrei volentieri evitato di vivere.

Nessuna sciagura di particolare rilievo, solo piccole scocciature di ordinaria amministrazione: Papy lavorava fino alle 17:00 perché per un turnista il weekend e tutte le feste comandate sono istituzioni prive di alcun significato, un sacco di commissioni da fare al mattino imbottigliata nel traffico prenatalizio, un terribile mal di testa e Superboy insopportabile e indolente ai massimi livelli. Neppure la prospettiva di andare a cena con degli amici, un deterrente che di solito lo invoglia a terminare i compiti in dieci minuti, è riuscita a distoglierlo dal suo stato catalettico: non gli andava neppure di sfilarsi il pigiama e lavarsi i denti.

Ok, figlio, ti capisco. In realtà con quella giornata uggiosa anch’io ho faticato di brutto a buttarmi giù dal letto. L’ho fatto solo perché avrei rischiato di farmi la pipì addosso e alla mia età non sta bene bagnare le lenzuola. Puoi farlo a tre anni, o magari a novanta. A quaranta e passa primavere non è davvero il caso.  

Poi ha preteso di guardare due ore di cartoni animati, sempre pigiamato e con i denti sporchi.

Ok, figlio. Va bene. In fondo non capita quasi mai. Fàllo, così intanto mamma sbriga due/tre cosucce in casa.

Arrivate le 11:00 io dovevo uscire con urgenza e comprare anche un paio di pensierini per lui, quindi non potevo portarlo con me. Gli ho detto allora di vestirsi, che lo avrei lasciato un’oretta dalla nonna. Nessuna scena madre, per carità, ma per lavarsi e infilare una tuta ha impiegato tre quarti d’ora con lo stesso entusiasmo di un adolescente al quale neghi il permesso di girare in motorino. Bighellonava in modo snervante, con un muso lungo così e un’aria di sfida che mi hanno annientato. E’ un comportamento che mi sfianca da mesi ed è decisamente peggio di un capriccio, soprattutto se vai di fretta. Un figlio adolescente a nemmeno 9 anni, poi, non lo raccomando neppure alla mia peggior nemica.

Ok, figlio. Concordo. Difficilmente ti faccio vedere i cartoni a oltranza. E’sabato mattina, piove, è sacrosanto diritto di ogni bambino tatuarsi alla TV in certe circostanze. Ma due ore mi sembrano più che sufficienti, no? Evidentemente no, ma che ragionamenti faccio pure io…

Ieri non mi sentivo troppo bene. Un po’ la maledetta meteoropatia, un po’ un principio di influenza, un po’ una nottataccia trascorsa a contare incubi. Dopo pranzo ci siamo infilati assieme nel lettone a guardare la TV. Ancora, già… Io ero distrutta: dopo cinque minuti ho chiesto a Superboy se mi lasciava sonnecchiare un po’. La TV, fra parentesi, mi ha sempre conciliato l’abbiocco ma lui con il mio diritto a riposare non ha mai raggiunto un accordo soddisfacente. Quell’oretta di agognato riposo è stata tutta un “Ooooh, mamma, guarda che fico ‘sto pezzo qui! Mamma, ma lo sai che c’ho fame? Mamma, ma lo sai che devo fare la pipì, mi accompagni? Ma’, ma che fai? Dooooormi?”

No coredemamma, ma che dormo? Nun sia mai!

Dopo un po’ telefona la mia amica: “Scusami, Luà, ma c’ho tutte e due con la febbre alta. Andiamo a cena un’altra volta?” E certo che sì, tesoro. Cosa vuoi che ti risponda? Una mezz’ora più tardi chiama mia sorella, felice di aver finalmente trovato un regalo adatto a mia madre, un’impresa seconda soltanto alla scissione dell’atomo a mani nude.

Brava misorè, compraglielo pure così risolviamo… Sì, tranquilla. Alla spesa prevista ci arrivo... No, te lo assicuro, va benissimo quel regalo… Mi hai disturbata? Ma nooooooo, figurati, lo sai che il pomeriggio non riposo mai. Infatti, io non riposo mai dopo pranzo. Spesso neppure dopo cena, figurati se posso permettermi il lusso di una pennichella anche se ho dolori ovunque e mi rode neanche fossi precipitata in un barile stracolmo di polvere pruriginosa.  

Il resto del pomeriggio si è trascinato nell’inezia più assoluta, la mia e quella di Superboy. Era già tardissimo. Papy, una volta saputo che l’uscita con gli amici era saltata, si è trattenuto di più a lavoro. E’ rientrato a casa alle 19:30 e io ero ancora in alto mare per la cena. Mi sono ricordata che gli avevo promesso i topolini di patate, una delle deliziose ricette contenute nell’ultimo libro di Natalia Cattelani. Superboy adora cucinare con me. Almeno così credevo. E’ questo il vero fulcro di questo pallosissimo post. Il suo scopo non è tanto farvi il resoconto della giornata, ma raccontarvi come ieri sera mio figlio mi ha spezzato il cuore, come soltanto chi ami con tutta l’anima può fare.  

Rientra finalmente il padre a casa, lui non vedeva l’ora di fargli vedere su Youtube il promo di un regalo che gli abbiamo promesso per il suo compleanno. Preciso che Superboy è nato il 22 Febbraio, c’era perciò tutto il tempo possibile per mostrargli l’oggetto dei suoi desideri. Ma figuriamoci, come si può pretendere pazienza da un bambino che solo per miracolo è nato soltanto con 4 giorni di anticipo sulla tabella di marcia? Fosse stato per lui, sarebbe schizzato fuori dal mio ventre alla ventesima settimana di gestazione al massimo, minuto più, minuto meno. Fin qui nulla di strano, mi direte. Milioni di bambini si comportano come lui, di cosa mi stupisco? Giusto, infatti non è stata certamente la sua impazienza a sconvolgermi. La frase che ha sparato qualche minuto dopo sì. La ricetta dei topolini è rapida, ma non quando hai appena venti minuti di tempo per realizzarla, soprattutto ti fai aiutare da un bambino. Cercando di non offenderlo a morte (come capita di solito quando decidiamo di fare qualcosa assieme e poi non ci riusciamo) gli ho proposto di aiutarmi solo nella parte finale, così saremmo riusciti a portarla in tavola in tempi ragionevoli.

“Amooreeeeeeeeeee? Per te va bene se ai topolini ci pensa mamma e poi tu fai solo le orecchie con la sac à poche?”

Lui, distrattamente: “Ma sì, sì. Falli pure tutti da sola”.

E poi, a voce neppure troppo bassa: “E vaaaaaaaaaaaaai, me la sono tolta dalle scatole, quella.” Ed è sparito in camera sua a chiacchierare con il padre.

Mi sono sentita morire. In una microfrazione di secondo ho rivissuto tutto ciò di bello, particolare e divertente abbiamo fatto insieme da quando è nato. Succede, così dicono, quando pensi che la tua vita stia per terminare. Mi sono sentita cacciata via come un insetto molesto, un’idealista convinta che tutte le attività alternative al rincoglionimento davanti a TV e videogames che propongo a mio figlio siano in realtà noiose e poco interessanti per lui.

Ho pensato di essere sbagliata. Ho pensato anche di mollargli uno sganassone di quelli potenti, lo confesso. Perché tu, figlio, non puoi permetterti di chiamarmi “quella”, come se fossi una tipa qualsiasi di passaggio a casa nostra. Anche volendo non sarei riuscita a piazzargli in piena faccia un meritato schiaffone, avevo perso la capacità di muovere qualsiasi muscolo. E poi io non l’ho mai picchiato in vita mia, anche se quella rispostaccia poteva essere un buon pretesto per provare l’esperienza.  

E’stato un attimo, poi ho ripreso a respirare. Mi sono ricordata che non sono tanto io a proporre le attività, ma cerchiamo assieme qualcosa di bello da fare insieme se fuori piove e non c’è nessun amichetto con cui giocare. Ho pensato che sta crescendo, questo lo so da un bel po’, e che magari quello che abbiamo fatto fino a ieri oggi non gli piace più. Ho imparato a tollerare che diradi all’osso i baci e gli abbracci che mi regalava di continuo, a rispettare i suoi spazi, a non costringerlo a fare qualcosa che non sia strettamente necessario, utile o indispensabile alla sua crescita. Nei limiti del possibile gli lascio possibilità di scegliere, io che da bambina non potevo decidere nulla, neppure il colore del nastro da mettermi fra i capelli. Ho imparato a soffocare quella voglia irrefrenabile di rificcarmelo nella pancia e di stringermelo al seno come quando pesava come un panettone, e anche le lacrime che verso perché nella mia pancia non posso rificcarci lui né nessun altro. Così sembra…

Lui si è pentito un istante dopo avermi vomitato addosso quella cattiveria, che poi forse davvero cattiveria non è stata. Sembrava più la sparata di uno affetto da quella patologia che toglie tutti i freni inibitori e allora butti fuori tutto ciò che pensi senza filtri. E lo fai malissimo.

E’ tornato un paio di minuti dopo in cucina. Mi ha ritrovata seduta a fissare il muro, immobile.

“Mammina…”

“Mammina un cavolo!” gli ho sibilato contro “Mammina cosa? Eh?! Mam-mi-na cosaaaaaaaaaaaa?” e lì gridavo, fortissimo. “Dovrei fare come fanno certe, che per liberarsi dei figli li piazzano tutto il giorno davanti al computer, quelle che non ci giocano neppure sotto tortura, quelle che si lamentano sempre che i bambini sono faticosi, quelle che eccheduepalle devo portarlo al parco mentre io ti ci porto da quando neppure ti tenevi in piedi e ti ho insegnato pure come si gioca a pallone che sono anche più brava di papà! Dovrei fare come quelle che non leggono mai un libro ai figli, quelle che si scocciano a spingerli sull’altalena, quelle che se cadono due gocce di pioggia gli prende un colpo perché non sanno inventarsi un gioco, una canzone, un sorriso da regalare ai loro bambini. Ecco come dovrei fare! Ecco. Come. Io faccio mille cose belle insieme a te, da sempre, pure se sono stanca morta. E tu così mi rispondi?”

Lui era mortificato come mai in vita sua, ha provato ad abbracciarmi ma l’ho scansato. Io ero fuori di me, perché per la prima volta in vita mia ho rinfacciato qualcosa a mio figlio. Non potevo essere io quella donnucola isterica che faceva pesare al suo bambino cose sempre fatte con amore, mai con sacrificio. Cose fatte con amore, mai per collezionare i “grazie”. Non potevo essere io, eppure quella voce da sconvolta usciva proprio dalla mia bocca. Ho avuto pena di me stessa.

Ecco, figlio. Tu mi hai spezzato il cuore ieri sera, è così. E anche se poi abbiamo chiarito e ci siamo chiesti scusa a vicenda, e abbracciati, annusati, baciati fino allo svenimento, io non potrò mai perdonarmi per ciò che ti ho detto. Anche se quella tua frase sprezzante davvero non me la meritavo, anche se stai crescendo troppo in fretta- l’hai sempre fatto - e allora dici spesso cose fuori luogo, pesantissime da digerire, cose che non appartengono al tuo bel cuore, il tuo sbaglio di bambino non è paragonabile al mio errore da grande. Quella adulta dovrei essere io, solo che certe volte me ne dimentico.  

Ieri è stata una giornata che avrei volentieri evitato di vivere. Ma certe giornate ti capitano, mica puoi scegliertele.

                                                                                                                                                                                                                          

 

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Chi Sono

  • : La Staccata
  • : Luana Troncanetti, scrittrice per caso, schiava devota dell'ironia, grafomane incallita e mamma strafelice di Alessandro, aka Superboy. Nel 2009 ho vinto il Premio Massimo Troisi per la scrittura comica e sono ancora qui a disegnare cerchietti in un angolo e a chiedermi: "Ma che s'erano pippati quelli della giuria?"
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