“Satana, esci da questi piedi!” L'ho gridato alle
mie estremità inferiori per tutta la durata della splendida vacanza che ho appena trascorso in Calabria. Abbiamo approfittato di un’offerta che non potevamo rifiutare, neanche se a
proporcela fosse stato il Padrino in persona. Tempo di crisi, portafogli ridotto all’osso e quindi che Dio benedica nei secoli a venire le offerte last minute “due settimane al prezzo di
una”.
Ho lanciato al volo qualche costume in valigia, ho
stipato tutto nel bagagliaio della nostra fedele Nissan Note - quella incredibilmente capiente - e ci siamo imbarcati, impavidi, in quel della Salerno/Reggio Calabria. Siamo sopravvissuti a 6 ore
di viaggio sotto un sole assassino e ora lo raccontiamo in giro, il che ci fa sentire più ganzi di Highlander. C’è gente che tutte le estati schiatta per molto meno.
Tornando al diavolo… che accidenti di connessione
avrebbe Belzebù con i miei piedi? Ce l’ha, bella gente, perché ha ottenuto la mia anima staccata. Ho ceduto alla tentazione di acquistare due paia di scarpe con zeppe vertiginose: circa nove
centimetri, un’altezza improponibile almeno per una come me. Ricordo però ai puristi del trampolo, i quali staranno esultando vittoria per la mia (temporanea) conversione, che tecnicamente le
zeppe non sono tacchi, ma straordinari strumenti di elevazione a impatto zero su nervo sciatico e altre tristerrime patologie che mi affliggono da quando riuscivo ancora a sorridere senza
che il contorno occhi si animasse di minuscole rughette.
Riuscivo persino a ballarci la salsa, con quelle
scarpe, allietata dal plusvalore di un paio di avvenenti baby animatori ad evitare che precipitassi giù dall'impalcatura. Il toy boy sta bene su tutto, in particolar modo sulle
tardone come me. Bando ai moralismi gratuiti e riconosciamolo: volteggiare fra le braccia ben tornite di un ragazzo che potrebbe essere (quasi) tuo figlio regala un pizzico di sana soddisfazione
in più. Ovviamente quelle creature innocenti ballano per contratto con le clienti, non per altro, anche con quelle che hanno dimenticato da un pezzo come si scrive la frase “ho vent’anni”,
ma basta godere di sufficiente faccia tosta per azzerare quei quattro lustri in più e l’età te la scrolli via di colpo. Innocentemente, s’intende…
A dispetto della mia (vanagloriosa?) convinzione
di essere prepotentemente femmina anche in infradito, mando a puttane la mia filosofia di vita confessandovi che sì, quando sfioro il metro e settanta donna mi ci sento molto di più. E,
confessione per confessione, sappiate che ho beneficiato anche di qualche sporadico sguardo goloso. Occhio che non sto parlando di attempati signori instupiditi dall’andropausa, ma di
ragazzi/uomini ancora abili e arruolati. Insomma, il maniaco sessuale di bocca buona una donna lo trova sempre. Specialmente di sera, perché trucco/parrucco/abbronzatura/vestito carino e
soprattutto 9 centimetri in più fanno miracoli.
Ma occhio, lo ribadisco, è solo
perché la zeppa non la senti. La zeppa è un comodo prolungamento della femminilità, risolleva il morale, il sedere e le cosce avvilite da anni di
forzata inattività fisica, ti regala gambe più affusolate e un incedere felino, ti consente di ancheggiare così come fai con le scarpe rasoterra. Non hanno nulla a che vedere con i tacchi. Più
che sexy, mi fanno apparire ubriaca. O strafatta di crack. Con i tacchi sono seducente come lo sportello di un frigorifero, con le zeppe va decisamente meglio. E, che ci crediate oppure no, io in
quel villaggio turistico mi sono sentita carina, appetibile e persino giovane così come non mi capitava da una vita. 
N
ei villaggi turistici, luoghi demonizzati da chi non riesce a
socializzare neppure se gli fornisci il PIN del tuo conto corrente multimilionario, siamo tutti più o meno affetti dalla sindrome di Peter Pan. L’età anagrafica è annullata. Le beghe
quotidiane sono annacquate dal sorriso. Il tuo, e soprattutto quello degli animatori. Il massimo problema che hai è sopravvivere alla mandria di gnu affamati che non esitano ad atterrarti con un
colpo di Taekwondo se putacaso stai per infilare nel piatto l’ultimo trancio di mozzarella rimasto nel buffet.
Ti lanci in grotteschi deliri ludici collettivi quali:
“Infila un cubetto di ghiaccio in bocca e sparalo via nel secchio posto a tre metri da te.” Sono persino arrivata in finale, Papy invece ha vinto il gioco aperitivo: le gare di sputi che facciamo
con Superboy saranno anche luridamente pacchiane, ma l’arte di cavarsela un po’ in tutto paga sempre nella vita. Eravamo in ottima compagnia: stimati notai, avvocati di grido, manager tutti d’un
pezzo, neurochirurghi di fama internazionale… Tutti a sputare cubetti di ghiaccio come se fosse la cosa più naturale del mondo. Roba che se qualcuno avesse postato tutto su YouTube sarebbero
crollate non so neanche io quante rispettabili carriere.
Io i villaggi non li amavo granché… Sono sempre stata una turista
per caso, una che è stata capace di trascorrere 24 giorni in Australia senza prenotare in anticipo un singolo hotel, con a seguito soltanto un minuscolo trolley e tanta voglia di mordere le
novità, una che ha nuotato in compagnia degli squali (squali nutrice, vabbe’, ma vi assicuro che in acqua fanno comunque la loro porca figura), una che si alzava alle 4 del mattino per
un'escursione nel deserto, una che detestava le regole, i programmi, le gite organizzate, gli itinerari prestabiliti.
Ma da quando sono mamma ho imparato ad apprezzare il
godurioso e rassicurante cazzeggio continuo degli animatori che, se ti dice bene e riesci a mollare un paio d’ore i figli al miniclub, ti offrono la libertà di collassare sulla sdraio o di
divertirti assieme a loro. A te la scelta, senza mitra puntati alla tempia.
Sono ragazzi che scorrazzano tutto il giorno come
formiche operaie, che non dormono praticamente mai, che fanno la pipì al volo dentro a un secchio e che sì, è vero che sono giovani, ma con 40 gradi all’ombra neppure le
mosche africane riescono a mantenersi attive. Loro sì. Se possiedi la sensibilità sufficiente per grattar via la superficie del "sole, mare, abbronzatura da figo/figa,
divertimento, acchiappo garantito", ti accorgi che il loro non è esattamente il mestiere più rilassante dell'universo. Realizzi che è scandito da orari serrati, che
è una sorta di maratona sicuramente divertente, non dico di no, però è pesante. Quindi ti affezioni ferocemente a loro per questo.
Qualcuno sviene per la fatica, ma appena riapre gli
occhi è subito pronto a regalarti un nuovo sorriso. Un po’ ciancicato, ma ci riesce. Gli animatori ballano con il naso fratturato, con i muscoli strappati, beccano ustioni di
secondo grado perché non hanno il tempo neppure per mettere la crema protettiva, sopportano l’invadenza dei clienti che si piazzano al loro tavolo, le rare volte in cui mangiano seduti, o di
quelli che dopo la mezzanotte non capiscono che togliersi dalle balle sarebbe un sacrosanto gesto di intelligenza.
All’ora delle streghe il loro lavoro non è ancora finito: provano
gli spettacoli fino alle 4 del mattino e alle 8, poi, sono già in piedi e un’ora dopo pronti a ballare la sigla del villaggio, ad ascoltare il tuo cavallo di battaglia, una barzelletta
demenziale che non fa ridere neppure tuo figlio che ha 3 anni, ad augurarti il buon giorno, il buon appetito, ad abbracciarti, a farti divertire, a buttarti in piscina, a condividere con te
i loro sogni, a farti dimenticare che potresti essere il loro padre/madre, a darti del tu anche se hai novant’anni e poi, quando parti, a commuoversi fino alle lacrime.
E tu quelle lacrime le ricambi sinceramente, senza vergogna, anche
se sai che presto quella malinconia soffocante passerà, che appena sarai risalito in macchina lascerai subito il posto ad altri sorrisi di benvenuto. Quasi ti senti geloso per questo.
Io domenica scorsa in Calabria ho parcheggiato i miei primi
vent’anni e un piccolo frammento di cuore. Sono rimasti lì a ballare la bachata, a bere il sale di un mare turchino e l’allegria di un’isola che non
c’è, a regalare abbracci, chiacchiere da ombrellone e sorrisi ininterrotti.
I miei secondi vent’anni hanno riacciuffato la loro vita
adulta, sfilandosi con un briciolo di tristezza la divisa di Peter Pan, che si agita ora vorticosamente nel cestello della lavatrice. Ma una volta asciugata al sole, questo io lo
so, avrò comunque la forza di indossarla di nuovo e di tirar fuori la ragazzina che è in me, quella che mi salva sempre la vita quando mi passa la voglia di piegare le labbra all’insù.
Tante vicende negli ultimi anni hanno cercato di ammazzare la
mia voglia di sorridere ma lei, testarda, è sopravvissuta anche all’insopportabile.
“Sua moglie ha un sorriso che illumina tutta la sala” è il complimento che il capocameriere del villaggio mi ha rivolto una sera, ovviamente in presenza di mio marito. E’ il più bello che abbia
mai ricevuto, questo sia nei miei primi che nei miei secondi vent’anni di vita, soprattutto perché è difficile che un uomo si concentri sui miei occhi o sul mio sorriso: mezzosangue calabrese e
fisico mediterraneo (pure troppo), diciamo che ho altre "evidenze" sulle quali focalizzarsi.
Vent'anni fa erano più fresche e appetibili, ma nun stamo a guardà er capello: l'uomo con un suo perché diventa cieco al filo di cellulite o al rotolino di panzetta, non si cura di
loro ma guarda, passa e ti dice che hai un bel sorriso. O una bella testa, o che lo fai ridere, o che gli regali il buongiorno ogni mattina con le tue minchiate, oppure si stupisce del fatto
che sei riuscita a imparare i passi della sigla o dei balli di gruppo in pochi giorni senza provarli, semplicemente osservando gli altri stravaccata sul bagnasciuga.
Considerati perciò questi presunti meriti, quasi quasi mi metto a fare l'animatrice anch'io. Pretendo però la mezza giornata di riposo settimanale. A occhio e croce dovrei avere
ancora una trentina di anni da vivere, se possibile vorrei spararmeli tutti. Intanto mi candido, non si sa mai:
A.A.A Offresi animatrice stagionata.
Canticchia, ballicchia, scribacchia, reciticchia e soprattutto è dotata di una fibra indistruttibile. Miglior referenza? Non ha chiuso occhio per oltre 3 anni causa bimbo vampiro.
Chiacchieratrice (inde)fessa, ottima contattista. Provare per credere.
La maglietta dello staff di animazione che indosso nella foto è di Superboy, taglia 9/11 anni. Non chiedetemi come abbia fatto a infilarci il mio
"sorriso"
quarta misura, però ci sono riuscita.
PS: Seriamente? Ce
l'ho davvero un bel sorriso... Quello che non si infila nel wonderbra, intendo.