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7 febbraio 2012 2 07 /02 /febbraio /2012 10:57

ALE LUANA ROCCO

Domenica mattina ho avuto paura, ma paura sul serio. No, non sono caduta in un crepaccio né sotto gli artigli di un orso polare. La Tv non si preoccupa di chiarire che non tutte le zone di Roma vertono in condizioni tragiche a causa delle neve; almeno dalle mie parti è tutto sotto controllo.

Sono semplicemente andata da Decathlon con tutta la sacra famiglia per rifornire il guardaroba; non vado a sciare da almeno 25 anni e un romano, a meno che non sia abituato a spararsi la sua brava settimana bianca l’anno, di solito non è attrezzato per certe evenienze. Magari nevicherà fra 30 anni, come di consueto, ma qualora non fosse così meglio non farsi cogliere impreparati.

L’assalto al forno delle grucce me lo aspettavo, per carità di Dio, ma pensavo che sarebbe stato un attimo meno cruento. La psicosi dell’emergenza neve ha colpito parecchi romani, quelli del mio quartiere non ne sono stati esenti. Così, alle 10 del mattino il reparto sci del negozio sembrava un girone infernale: mamme esauste e scarmigliate, papà esasperati e giovani donne, le più agguerrite poiché libere dalla zavorra dei bimbi urlanti, che svolazzavano da uno scaffale all’altro per conquistare il bene più agognato: i doposci. 

Ce n’erano ancora diversi sugli scaffali da donna, ma rigorosamente numero 36. Di Cenerentole in giro ce n’erano pochine, per questo ho rischiato l’accecamento quando una tipa mi ha soffiato da sotto il naso l’ultimo paio di stivali imbottiti numero 38.

Io calzo il 36,5 ma i doposci vanno scelti di almeno 2 misure in più. Quando le ho fatto gentilmente notare che quel paio solo soletto sul ripiano lo avevo visto prima io, ha replicato semi inviperita: “Ambè, mi scusi saaaaaa! E io che ne sapevo, mica ce li aveva in mano!”

E no, in mano no, perché non ho fatto in tempo a sfilarli dallo scaffale. Ero impegnata ad evitare le tue gomitate e possibilmente il conseguente accecamento, ma comunque li stavo fissando, e non perché pensassi di essere capitata per sbaglio alla Biennale di Venezia, in ammirazione di un’opera di arte moderna dal titolo “Ultimo paio di doposci numero 38 miracolosamente scampato all'assalto delle erinni ancora disponibile se una stronza non te lo sfila da sotto al naso”.

Abbiamo comunque trovato quanto ci occorreva: doposci e guanti per tutta la famiglia + pantaloni imbottiti per i miei due uomini, che ne erano sprovvisti. A comprare una slitta per raggiungere l’unico supermercato aperto non abbiamo pensato, ci sembrava superfluo e ridicolo visto che a Roma Sud ha fatto appena una spruzzata di neve, ma molte persone hanno acquistato tonnelate di roba inutile, neanche si fossero improvvisamente trasferiti in una baita sperduta nell’entroterra altoatesino.

A rendere ancora più difficile e surreale la mia caccia al tesoro fra guanti e doposci, le continue interruzioni dei clienti: “Mi scusi, ma sono appena le 10 e un quarto, come mai sono rimaste soltanto taglie small? E di un altro colore non ce l’avete questa tutina? E, mi perdoni, ma possibile che ci sia soltanto lei in tutto il reparto a cui rivolgersi?”

Vi stupite? Io no. Ovunque io vada, mi scambiano per una commessa. Poco importa se le impiegate del negozio indossino una divisa arancione a pallini viola e io sia vestita completamente di nero, sempre commessa sono.  

Mi capita sempre, categoricamente, non domandatemi il perché. Io l’ho chiesto al decimo cliente che mi ha domandato dove potesse trovare delle magliette in pile: “Mi perdoni, signore, ma cosa la fa pensare che io sia una commessa?”

“Ehmmm…Perché, lei non lavora qui?”

“E no, mi spiace, non lavoro qui. Sono una cliente proprio come lei …”

“Mi perdoni, non volevo offenderla…”

“Ma offendermi in che senso? Mica mi ha dato della prostituta, semplicemente della commessa… Mi tolga però una curiosità: perché le ho dato l’impressione che lavorassi da Decathlon?”

“Mah… non so. Forse come si muove, come parla…”

O forse, caro signore, glielo dico io il perché: magari dipenderà dal fatto che dopo aver tirato fuori una maglia dallo scaffale la ripiego con cura, invece di appallottolarla alla meglio perché “tanto poi ci pensano le commesse a rimettere a posto”. Potrebbe essere un motivo valido… Potrebbe, ma non è scontato.

A volte mi chiedono informazioni anche se non sto ripiegando una maglia o rimettendo a posto un paio di scarpe.  Evidentemente ho davvero la faccia da commessa.

Bene, è confortante sapere che nella vita si ha sempre un’alternativa: qualora dovessero andare male tutti i miei progetti, un posto da Ikea o da Decathlon non me lo toglie nessuno. E poi, lo dicono anche Monti e la Cancellieri che avere un posto fisso è da monotoni bambaccioni.

La mia professione non si può definire proprio come un “posto fisso”, ma a me piace pensare che sia così.

A proposito…le maglie in pile da bambino sono terminate, ma se tornate giovedì ci hanno assicurato che ne scaricheranno un paillet nuovo. Neve permettendo, s’intende…

 

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Chi Sono

  • : La Staccata
  • : Luana Troncanetti, scrittrice per caso, schiava devota dell'ironia, grafomane incallita e mamma strafelice di Alessandro, aka Superboy. Nel 2009 ho vinto il Premio Massimo Troisi per la scrittura comica e sono ancora qui a disegnare cerchietti in un angolo e a chiedermi: "Ma che s'erano pippati quelli della giuria?"
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