
Sono passati trentaquattro anni, eppure me
la ricordo ancora nitidamente.
Aveva il fiato corto e le guance accese. Torturava la cravattina del grembiule candido e le pagine del
sussidiario. Cercava di sottrarsi in ogni modo a quell'agonia, ma non poteva. Era piccola. E stupida, lei…
“La vi…psa Teresa avea fra l’e…e…e…r…betta a lovo
sor..sor…sorpresa gentil af..af..af…”
“Basta, chiudi quel libro. Sei un disastro, tu!” la apostrofava malamente la maestra, profonda conoscitrice
della psicologia bambinesca.
"Continua tu, Luana. Tu sì che sei brava a leggere!”.
Ero bravissima a leggere, è vero. E allora proseguivo io, con voce sicura e chiara, mentre con la coda
dell’occhio vedevo Roberta sedersi mestamente al suo posto, sconfitta, con il faccino in fiamme, impotente. Non sapeva combattere la sua battaglia perché nessuno le forniva le armi giuste. E
quindi perdeva, sempre.
La mia compagna di classe stupida era fra le bambine più simpatiche, sveglie e intelligenti che
avessi mai conosciuto. Aveva solo sette anni, ma ci regalava uscite geniali spiazzanti, smerciava i doppioni delle figurine di Barbie con un’abilità che neanche un responsabile commerciale della
Panini, e sfoggiava una memoria impressionante. Il suo repertorio di barzellette avrebbe fatto impallidire d’invidia Gino Branieri nella sua forma più smagliante. Aveva tanti amici, sì. Ma la
metà di questi, sotto sotto, pensava che fosse simpaticissima, ma stupida. Perché scriveva il 3 al contrario, confondeva il 7 con il 4 e non riusciva ad imparare le poesie a memoria.
Eppure di memoria, lei, ne aveva da vendere.
Leggevo speditamente, è vero. E il 3 lo scrivevo per benino, come tutti i miei compagni. Perché non ero dislessica, io.
Sarebbe bastato poco per regalare a Roberta una vita scolastica meno faticosa: un briciolo di umanità e intelligenza da parte della maestra, tanto per cominciare. Perché la nostra insegnante era
un'ottusa, o forse era semplicemente impreparata. Nel 1977 la dislessia era ancora un fenomeno sconosciuto e mal affrontato dai Capoccioni della Pubblica Istruzione.
Ma un paio di giorni fa proprio il Ministro più criticato degli ultimi dieci anni sembrerebbe aver fatto qualcosa di buono in favore delle persone affette dai disturbi dell’apprendimento.
Sembrerebbe, lo sottolineo, perché temo che i tempi di attuazione della legge saranno come al solito infiniti.
Il decreto Gelmini attuativo della legge 170/2010 che riconosce la dislessia, la disortografia, la disgrafia e la discalculia come disturbi specifici di apprendimento è stato approvato in Senato.
Gli accorgimenti didattici necessari a restituire dignità ai ragazzi affetti da questi disturbi ( 350.000 alunni dai 6 ai 18 anni ) sono semplicissimi: la possibilità di usare un pc o la
calcolatrice, una lavagna elettronica speciale che renda più agevole il copiato, non essere costretti a leggere ad alta voce e più tempo per i compiti scritti. Ma soprattutto la presenza di un
insegnante qualificato in grado regalare loro il giusto affiancamento, un’autentica utopia in un sistema scolastico come il nostro, basato su un metodo unico a cui tutti indistintamente devono
adeguarsi, senza la giusta attenzione.
Non c’è tempo per questo, e soprattutto non ci sono i fondi. E allora tutto grava sulle spalle di insegnanti volenterosi che seguono privatamente dei corsi per sostenere i propri alunni, e sul
portafoglio dei genitori, che devono ovviare il problema rivolgendosi a dei professionisti esterni alla scuola.
Non parlo da secoli con la mia compagna di classe, abbiamo avuto soltanto qualche incontro sporadico nel corso di questi lunghi anni. Quello che mi auguro è che sia riuscita a scrollarsi di dosso
l’etichetta di “stupida” appiccicatale addosso dall’inettitudine della gente. Sono certa che ce l’abbia fatta, intelligente com’è.
Perché, come diceva la strepitosa mamma di Forrest Gump: “Stupido è chi lo stupido fa.” E quell' "insegnante" che l’ha umiliata inutilmente per anni, lei sì che era irrimediabilmente
stupida.