Stamattina, ore 11:00. Al supermercato, zona franca laddove da sempre mio figlio perde i superpoteri (ma non oggi) ero già davanti la cassa pronta per pagare il conto. Superboy si incolla all’espositore delle cioccolatine principiando la consueta scena madre: “Ma’, porca miseria, sei una nazista. Non mi compri mai nulla di buono, tu!”, dimenticandosi forse che nel carrello c’erano già un paio di porcate che non vi specifico per evitare che mi tolgano la custodia del bambino.
La cassa è assolutamente vuota, siamo perciò i primi della fila. E rimaniamo lì per cinque minuti buoni a contrattare, accapigliandoci come un turista testardo e un commerciante paraculo in un bazar.
Finalmente Superboy molla l’osso, io sposto con la gamba un cestino lasciato in mezzo alla corsia da chissà chi e inizio a depositare roba sul nastro trasportatore. Di lato sbuca una tizia che avevo già adocchiato al bancone dei surgelati:sulla cinquantina, miniabito rosa baby tatuato sul corpo, capelli lunghi e sfibrati da una grottesca tinta nero inferno, trucco da drag queen, tacchi da dominatrice e cellulite in bella mostra.
Mi guarda è mi fa: “Ah, beh! Se proprio vuole passare lei…”
“Signora (signora???), non è che voglio passare io. C’ero già, io. Da almeno cinque minuti.”
“Ma veramente siamo arrivate insieme. Però se proprio insiste, passi…”
E si allontana sacramentando, ancheggiando e fendendo l’aria con le sue tette pellancicose, perché fra parentesi non portava neanche il reggiseno.
Io, che stamattina mi sono alzata all’alba per gentile concessione di un figlio che ho pure dovuto insolitamente rincorrere da uno scaffale all’altro così come non accadeva da secoli, io che già di mio non sono esattamente una persona tollerante, soprattutto in fatto di precedenza in fila alle casse, ho replicato qualcosa a mezza bocca. Temo non abbastanza a bassa voce.
Mentre caricavo la spesa in macchina, l’anima candida che ho partorito mi ha chiesto:
“Mamma…Cosa significa fottuta strappona?”
Questo poche ore dopo aver scritto un pezzo infarcito di menate
sul parlare pulito davanti ai propri figli. La chiusa sarebbe questa: “Trattenersi
dall’usare il turpiloquio persino al cospetto di un coglione (pardon!), di uno sconsiderato che tenta di investirci con il SUV è sicuramente un mezzo utile a sconfiggere il problema alla
radice. Se, invece, abbiamo la pessima abitudine di parlare sporco, ci sono ottime possibilità che anche nostro figlio faccia altrettanto.
Ma veramente ottime, eh! Fidatevi!”
Devo assolutamente depennare la voce “coerenza” dai presunti pregi del mio curriculum vitae.