Sono due giorni che ho voglia di gridarlo. Due giorni
che vivo sotto sedativi perchè non potevo ancora dirlo. Ora è ufficiale: "Adrianaaaaaaaaaaaaa! Ho vinto, ho vinto! Adrianaaaaaaaaaaaaaa!"
No, miei sventurati lettori, non ho fracassato il muso di Apollo, né vinto al Superenalotto. E’ qualcosa di meglio, molto meglio. Ho vinto
l’incredibile, ho vinto un sogno… Ho vinto un premio letterario dedicato a un uomo eccezionale, che ci ha lasciato troppo presto, in punta di piedi, senza salutare ma non per
maleducazione.
E prima di andarsene ha pensato bene di regalarci con sorprendente semplicità capolavori d’arte unici, risate, lacrime e riflessioni,
personaggi surreali eppure tanto veri. Mi pongo come modestissima alunna di un così sorprendente insegnante, dal quale tutti quanti dovrebbero imparare l’Arte. Massimo la regalava,
quell’arte, con l’umiltà che fa grande l’uomo e grandioso l’artista. Era umile, prima che grande. Era grande, proprio perché umile.
Questo è un riconoscimento importantissimo per la scrittura comica, e l’onore è doppio perché il premio è intitolato a lui, uno
dei miei artisti preferiti. Vedere il mio nome scritto accanto al suo, anche se soltanto sul comunicato stampa, anche se ci dividono infiniti
livelli di straordinarietà incolmabile, mi inorgoglisce al di sopra di tutto. Mi inorgoglisce, ma non fa di me un’orgogliosa.
Sono certa che l’umiltà rimarrà per sempre una mia fida compagna. Lascio agli altri l’onere di montarsi la testa al primo successo
tangibile. La vanagloria non mi interessa. E’ roba da frustrati e finisce con l’avvelenarti la vita.
Io sono felice, incredibilmente felice e basta. Ed è strabiliante che il mio testo sia stato premiato a dispetto della sua semplicità,
nonostante l’assenza di una ricerca sfrenata della risata. Anzi, neanche di testo comico si tratta, ma di un pezzo ironico, più sottile da cogliere e meno ridanciano. Ma, nonostante ciò, il brano
che ho inviato al concorso in extremis è piaciuto. Tanto.
Vincitrice per la sezione Scrittura comica
Miglior monologo di cabaret
“Vacanze? No, grazie. Ho smesso…” di Luana Troncanetti – Roma
L’ho visto scritto nero su bianco eppure ancora fatico a crederci. Hanno premiato una scrittrice
er caso, che quando scrive non si affanna a voler strappare per forza un consenso, ma scrive e basta. Scrive senza pensarci troppo su, e meno pensa e
meglio scrive. Scrive perché la diverte, non perché vuol divertire.
E la cabarettista per caso, logorroica per nascita e vulcanica per autoinduzione, fatica ora persino a stendere queste brevi frasi. Le fa
male il cuore, perché le gioie, se si impegnano bene, sanno essere più pungenti dei dolori. E'indecisa su quale di queste sensazioni provare, contesa fra gioia e dolore. Così, per non sbagliare,
le assapora tutte.
Questa gioia dolorosa, la prima, la più intensa da che ho principiato questa mia folle avventura di aspirante scrittrice, non me la scorderò
fin quando, stufa di respirare, chiuderò gli occhi per schiacciare un riposino. E pochi secondi prima di addormentarmi riuscirò ancora a sorridere, perché questo ho sempre fatto nella vita,
perché sorridendo si vive meglio e si muore più contenti.
Festeggio la mia gioia scrivendo una volta tanto un pezzo serio, anche se l’operazione non rientra nelle mie corde, a costo di apparire
ridicola perché io le cose serie non le so scrivere. Però mi sembrava doveroso, una volta tanto, accantonare le scempiaggini nel rispetto di questo miracolo. Perché di miracolo si tratta.
E mi sembra persino di sentire Massimo che bofonchia: “ E vabbuò, Luà... Pecchè nun c'avissa crerere? Nun è
difficile. S'adda pruvà...”
C'ho provato Massimo. Mi ha detto bene.